
La maggior parte della gente lavora essenzialmente per guadagnare del denaro. Naturalmente, il lavoro soddisfa anche altri bisogni, quali lo status derivato dall’identità professionale, l’approvazione degli altri, l’interazione sociale e la semplice soddisfazione che deriva dal fatto di occuparsi di qualcosa. Ciò che tutte queste gratificazioni hanno in comune è che sono estranee al processo stesso di lavorare. Lavoriamo per raggiungere particolari obiettivi, ma raramente valorizziamo l’attività stessa del lavoro. Questo è depauperante a livello profondo, infatti quando il lavoro non è valorizzato come attività fine a se stessa, raramente si lavora con piacere e soddisfazione.
Forse questo è il motivo per cui chi ha lavorato duramente e con successo per molti anni, a volte arriva al punto di domandarsi il valore di ciò che sta facendo. Gli sforzi gli hanno reso in sicurezza e benessere materiale, ma lo hanno aiutato a svilupparsi come essere umano? Gli hanno consentito di approfondire il senso del proprio valore e del proprio scopo? Gli hanno permesso di avvicinarsi al raggiungimento dei propri obiettivi nella vita? Non sono domande semplici da approfondire… ma mi piacerebbe che ci pensaste su e magari mi scriveste nei commenti cosa è venuto fuori dalle vostre riflessioni. 🙂
Quando lavoriamo senza una reale volontà, ciò che facciamo non è molto soddisfacente. Dobbiamo costringersi a fare ciò che facciamo e questo conflitto interiore porta all’esaurimento spirituale e mentale intorpidendo i nostri sensi e privandoci del piacere anche negli altri ambiti della vita. lavorando con questa resistenza interiore siamo portati all’inefficienza e il nostro operato tende alla mediocrità e all’insuccesso piuttosto che all’eccellenza e alla riuscita.
Questo scema persiste anche se lavoriamo per una causa in cui crediamo; forse lavoriamo con molta più energia e impegno, ma mettiamo in secondo piano l’attività del lavorare rispetto ai risultati.
Difficilmente pensiamo che il lavoro di per se possa essere un’occasione per imparare qualcosa di fondamentale su noi stessi, darci l’opportunità di dimostrare compassione o essere un esempio per gli altri.
Molti di noi danno per scontato di lavorare per il proprio benessere, ma in effetti non sembriamo in grado di soddisfare bisogni e desideri fondamentali. Ci siamo radicati in uno stile di vita in cui la maggior parte del nostro tempo è dedicata ad attività che ci soddisfano solo a metà e cerchiamo la vera soddisfazione al di fuori dell’ambiente lavorativo, lasciando in “attesa” la vita mentre siamo a lavoro, alimentando sempre più i modelli negativi della dipendenza e della fuga.
Il lavoro può riuscire a gratificare l’ego momentaneamente ma una parte di noi, quella più profonda, non viene nutrita. Non a caso molte persone lamentano di avere una vita poco equilibrata.

Esistono alternative al mondo del lavoro. C’è ancora chi si dedica al sentiero spirituale, alla ricerca di se stessi e del sapere. Rifiutando di perseguire scopi meramente materiali e il mondo degli affari, queste persone cercano gratificazione in ciò che considerano più intimamente legato al significato fondamentale dell’esistenza umana.
Purtroppo la separazione di questi due sentieri di vita è realè perchè, al giorno d’oggi, le rigide gerarchie e le comuni credenze, che erano presenti in passato, sono svanite. Le comunità spirituali e i singoli individui non possono più permettersi di lasciare ad altri le occupazioni materiali perchè non possono più contare sul sostegno della società; ma neanche la maggior parte degli individui che lavorano possono avere sostegno dagli sforzi di coloro che si occupano dello spirito, e questo perchè viene a mancare il senso di profonda connessione tra i due regni dello spirito e della materia. E mentre la tendenza alla frammentazione sociale accellera e si diffonde ovunque nel mondo, le conseguenze della divisione spirituale e mondano sono gravi. Da una parte i valori spirituali sono sempre più marginali, e per coloro interessati alle questioni spirituali e ai problemi fondamentali è sempre più difficile trovare il sostegno mteriale che consente loro di intraprendere questo sentiero. Dall’altra parte le incredibili acquisizioni della cultura occidentale nel regno della materia sembrano svuotarsi, minate da un senso crescente di perdita di significatoe dal sospetto che il tessuto sociale sia prossimo a sgretolarsi.
Secondo Tarthang Tulku, questa divisione tra mondo lavorativo e problemi dello spirito non è necessaria. E sono pienamente d’accordo con lui. 🙂 Il lavoro può avere un significato intrinseco e un valore che lo rende parte del cammino spirituale.
Chi lavora può giungere ad un senso di profonda soddisfazione, e quest’ultima è sempre stata considerata il frutto di un modo spirituale di vivere, anche se la persona non avverte nessuna vocazione religiosa.
Il lavoro che svolgiamo non deve essere una dolorosa necessità. Possiamo usare il nostro lavoro per sfidare i nostri limiti, per perfezionare la nostra consapevolezza e approfondire la concentrazione; esso può aprirci ad una conoscenza che porta al successo e, allo stesso tempo, nutrirci a livello profondo.
Lasciandoci guidare dal lavoro verso una maggiore conoscenza, corriamo il meraviglioso rischio di giungere a fine giornata soddisfatti di aver ottenuto un reale beneficio; possiamo raggiungere i nostri obbiettivi e proporre, cosi, un esempio potenziale in grado di trasforare la società.